1971.
Una bambina di nome Lucie fugge da un edificio in disuso in cui è stata rinchiusa e orribilmente seviziata.
Quindici anni dopo, tormentata da aberranti apparizioni e dai sensi di colpa per non aver potuto aiutare un’altra vittima, si reca a casa di coloro che ritiene i suoi torturatori armata di fucile e compie una strage.
Per lei e la sua unica (ed amata) amica Anna si chiude un incubo lasciato in sospeso, ma si aprono le porte di una realtà spirituale, ed infernale allo stesso tempo, che esige pesanti tributi umani.
Oggetto di polemiche e controversie in Francia per un divieto ai minori di 16 anni che non veniva assegnato da decenni; film su cui ogni rivista sui film di genere ha profuso innumerevoli pagine; odiato da metà del pubblico dei festival in cui è stato proiettato, osannato dall’altra metà come un capolavoro; circondato dalle solite leggende su fughe o svenimenti; proiettato persino all’ultima edizione del Festival del cinema di Roma e poi persosi tra i passaparola del fandom horror che ancora non è a conoscenza di una data ufficiale d’uscita.
Nel frattempo è disponibile in dvd e blu-ray e son sicuro che i fanatici come me, come già per “A l’intérieur” e “Frontières”, si rivolgeranno ai negozi della vicina Francia.
Spero che questo post possa servire a ravvivare l’interesse per il film, a farlo conoscere a chi non l’ha mai sentito nominare e a far capire a chi si occupa di distribuzione che nel villaggio globale, a pochi mesi dall’uscita in madrepatria, un film è disponibile in dvd in lingua originale, spesso a prezzi da biglietto del cinema nostrano e in edizioni di qualità notevolmente superiore.
Dopo non lamentatevi dello scarso pubblico.
Visto che in Italia è già stato proiettato, e temo che l’attesa sarà ancora biblica (problemi con le commissioni per la censura? Il sottotesto religioso ha infastidito qualche prezzolato d’Oltretevere?), intanto è bene discuterne, comprendere perchè “Martyrs”, scritto e diretto da Pascal Laugier, sia un film importante e dirompente per il genere horror e perchè sia essenziale, per apprezzarlo, essere consapevoli dell’esperienza potenzialmente traumatica cui ci si sottopone, ma anche del fatto che non dobbiamo sottovalutare i nostri stomaci ormai anestetizzati.
“Martyrs” non è il film più shoccante mai visto (in Giappone o in Thailandia lo trasmetterebbero su Disney Channel), è pretenzioso e non completamente riuscito nel veicolare la provocazione di fondo.
Tuttavia traccia coraggiosamente (e in modo suicida per il regista eccessivamente snobbato di “Saint Ange”) un nuovo limite del rappresentabile, miracolosamente non resta ingabbiato nell’underground dei film estremi (dato che osa meno del previsto) e rompe gli argini fra cinema di genere e cinema d’autore.
Per questo motivo è un piccolo terremoto, perchè se altri registi, dotati dello stesso talento, seguiranno le orme di Laugier, potremmo forse parlare di una sorta di new-wave horror, ça va sans dire, generata in Francia, paese che in merito ormai detta legge (anche se ci si pone inquietanti interrogativi su un evidente malessere sociale e politico che sembra sul punto di esplodere).
In aggiunta, “Martyrs” è un tentativo di collegare un genere preciso ad istanze metafisiche e riflessioni esistenziali.
Laugier cita in un’intervista a “Mad Movies” l’esempio di “2001: odissea nello spazio”.
Il paragone è corretto, il risultato meno suggestivo ed efficace, eppure (senza svelare il grottesco twist finale) lascia il dubbio che sia davvero stata incorniciata “la fine dei tempi” (n.d. Laugier).
Il precedente “Saint Ange” è un film compromesso da un ritmo eccessivamente lento, ma di grande raffinatezza visiva, che raggiungeva l’apice in una conclusione di rara bellezza e malamente plagiata da “L’orfanotrofio”.
Qualcuno potrebbe pensare che Laugier, maltrattato da critica e pubblico, abbia voluto seguire la triste moda dei torture-porn americani dimostrando, semplicemente, di saper dirigere meglio certo materiale e con molta più verve.
Una specie di frustrata ribellione d’artista.
Eppure non cogliere che la rabbia espressa in “Martyrs” è controllata e metodica implica banalizzarlo e non andare oltre la superficie.
Il regista l’ha definito una risposta a “Funny games”: quest’ultimo è un gioco al decostruzionismo per far riflettere gli spettatori sulla fascinazione (e compartecipazione) che la violenza su grande schermo può generare, mentre in “Martyrs” la violenza è rappresentata in modo realistico, radicale, feroce e incredibilmente mai compiaciuto, con un effetto di innegabile sgradevolezza che allontana risoluto ogni possibile accusa di voyeurismo pornografico.
Lo scopo reazionario è ricongiungere i termini violenza e sofferenza, eliminando ogni elemento dissacrante o estetizzante (un’operazione opposta persino allo stesso “Saint Ange”) tramite l’uso (calcolatissimo) di telecamera a mano, fotografia fredda e metallica ed un make-up eccezionale (curato da Benoit Lestang) che vi fa provare sulla pelle ogni taglio, ogni ferita, ogni lacerazione.
La prima parte (la sequenza della vendetta) è in tal senso programmatica e risintonizza lo spettatore, ormai assuefatto ad ogni genere di turpitudine, sulle frequenze del vero dolore e del caos spaventoso delle esplosioni di rabbia.
Persino l’epifania mostruosa è talmente disturbante da diventare un’allucinazione ad occhi aperti.
Con il ritrovamento di una prigioniera si viene introdotti direttamente dentro il tema del martirio.
A quel punto ci si scopre ormai senza difese: le immagini, fra il fetish e il sadomaso, fra un’allegoria medievale e un museo della tortura, trasmettono un senso di raccapriccio tale, insieme a una profonda compassione per la vittima, che si trascende definitivamente ogni funzione ludica dell’horror.
In totale disagio, non rimane che domandarsi il fine di tanta crudeltà; le atrocità sono così bestiali e chirurgiche che lasciano trasparire l’esistenza di un piano, ma slegato dalla ricerca del piacere nel torturare o uccidere, perchè è proprio l’esatto contrario ciò che viene perseguito.
E come la violenza spesso esercita una funzione liberatoria e catartica, Laugier ci sbatte in faccia questo fine infantile e primitivo con lo showdown terminale, che porta con sè una purificazione, ma dal gusto cinico e spiazzante.
Gli ultimi venti minuti, ripetitivi, insistiti,volutamente irritanti, pare che siano i più problematici per la maggior parte delle persone (personalmente ritengo che sia lecito svenire già prima), non tanto per ciò che si rappresenta, ma per il modo brutale e senza pietà in cui gli atti si consumano.
Così come la vittima deve essere affrancata dalla sua volontà di resistenza, abbattuta, indotta al cedimento per raggiungere una trascendenza dai fini che non si possono rivelare, così pure noi ci troviamo costretti a subire, incamminati in un percorso di distruzione incomprensibile fino a che non saremo stremati.
E’ l’angoscia claustrofobica che si infila sotto la pelle la forza di “Martyrs”, la capacità, pur non visualizzando nulla che non possiamo già aver visto altrove, di farci passare attraverso forche caudine da cui ormai è impossibile scappare, fino alla resa dei sensi.
A proposito del controverso finale si potrebbero scrivere alcune supposizioni, e ciò non depone a favore della limpidità delle idee di Laugier (tacciato persino di fascismo, un’accusa buona per tutte le stagioni e mai rivolta là dove il fascismo è palese).
Eppure, conferendo un senso all’orgia di sangue apparentemente insensata che ci ha turbato per novanta minuti, suggerisce alcune chiavi di lettura sulla percezione del dolore e del mistero della morte nel mondo occidentale piuttosto inusuali per un film horror e smaccatamente autoriali.
Spesso sarà accaduto di interrogarsi sul fenomeno dei martiri, per noi occidentali un retaggio mitologico, ma attuale per i mediorientali.
In “Martyrs” una borghesia raggrinzita ed esaltata, materialista ed arrogante, che ha perduto la percezione del dolore e del valore della vita altrui, usa le persone come mero strumento di illuminazione, che ad essa non è concesso raggiungere, ossessionata dal voler estendere il proprio potere persino sul post-mortem e per farlo non esita a schiacciare i più indifesi, che dalla loro sono dotati ancora di amore e umanità.
Nello stesso tempo l’estremismo del martirio (capirete vedendo il film perchè viene inteso nel corretto senso etimologico di testimonianza) atterrisce.
In definitiva “Martyrs” è un film che sotto qualunque prospettiva (artistica o politica) rompe schemi mentali ed interpretativi e divide nettamente in due la platea.
Paradossalmente (ma con coerenza rispetto al modus interno di rappresentare la violenza, secondo una logica via via più compassionevole) proprio nella scena che avrebbe potuto ambire all’etichetta di momento più scioccante di ogni tempo l’azione è fuori campo e vissuta tramite il sonoro e il volto tumefatto della protagonista; ma non temete: ne vedrete abbondantemente i risultati e l’effetto è sconcertante.
Un plauso va alle performance fisiche delle attrici Morjana Alaoui (Anna), tramite cui viviamo le peggiori sensazioni, e Mylène Jampanoi (Lucie), dallo sguardo così intenso ed allucinato da riuscire a riassumere in poche espressioni quindici anni di tormenti indicibili.
Da segnalare il lavoro certosino sugli effetti sonori e l’originale colonna sonora dei Seppuku Paradigm, in grado (quasi) di commuoverci, quanto di raggelarci il sangue.
Il sito ufficiale: http://www.martyrs-lefilm.com
La recensione di Elvezio Sciallis.
Un nuovo Archetipo. Cui la definizione di “horror” va indubbiamente stretta, e che dell’Orrore estremizza e sovverte al contempo tutti i topoi più efficaci. Malata, angosciosa e realmente insopportabile trasfigurazione in poesia del dolore. Tanto più brutale in quanto -apparentemente- follemente insensata nella sua lucida perversione. Annichilimento violento e insieme chirurgico dell’Io/spettatore, senza alcuna possibilità di fuga. Un’opera che disturba e disorienta, scavando un solco rosso sangue di cui rimarrà traccia indelebile, in chiunque abbia la (s)ventura di imbattersi nel martirio -neanche a dirlo- che Pascal Laugier allestisce in modo crudelmente magistrale durante i novantacinque minuti della pellicola. Il francese mette in scena una feroce antologia della sofferenza. Uno strumento di supplizio visivo -e non solo- perfettamente oleato e tecnicamente ineccepibile in ogni suo acuminato segmento. Un meccanismo efferato che colpisce incredibilmente duro, per poi trascendere repentino in delirante teologia del dolore. Metafisica dello splatter. Manuale di tortura postmoderna asettico, asciutto, spaventoso e freddo come un cancro. La sublimazione del “terrore” su celluloide, insomma. Di cui il film è essenza intima e stato dell’arte, misto a molto, molto altro. Cinema da subire, in un’apnea priva di qualsiasi catarsi che ne stemperi la tensione. Un’esperienza che ci proietta senza pietà nelle peggiori fobìe ancestrali dell’animo umano, e lì ci lascia, al buio, per un bel pò. Che disarma, sgomenta e volontariamente svuota di senso qualsivoglia velleità moralizzante/banalizzante nel critichino di turno. Pietra miliare pressochè indiscutibile che ridisegna gli standard di genere, ridimensionando in modo obiettivo e definitivo tutto ciò che, da “Il Silenzio degli innocenti” ai vari “Saw” e “Hostel”, passando per “Se7en” e compagnia squartando, ha fatto gridare al miracolo i più e meno competenti cultori di Cinema “de paura”.
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@Domenico: un commento che è pure un’ottima recensione e rende benissimo l’esperienza mutuata dal film. 😉
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Tramite friendfeed passando per il tuo tumblr scopro che questo sito è tuo… sei un grande! Complimenti! Lo ho da mesi fra i preferiti e lo uso per scoprire tanti film interessanti. Grazie.
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lo guardo. poi dico.
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@Caino: ti ho nei miei feed, comunque feed-me. 😉
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@Daniele:
ti ho già ringraziato su Friend Feed, comunque ringrazio anche in questa sede. 😉
Come ti ho già detto, spesso accanto al “grande” vengono associati insulti di variegata natura.
E finiscono tutti magicamente nello spam. 😉
Sei almeno il secondo collega che sono sicuro di avere fra i miei lettori: inizio a preoccuparmi seriamente per la sanità italiana!
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l’ho visto. dammi un paio di giorni. 🙂
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Pingback: scarred ghost « Il Fungo Mauto 2.0
Un film che si insinua sottopelle e li rimane per i giorni successivi. Mi capita di dire alle persone che conosco di guardare questo film , ma allo steso tempo ne sconsiglio la visione, perchè non tutti sono in grado di sopportare quello che ci viene mostrato. Coraggioso e oltraggioso.Unico. Capolavoro
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…è passato qualche mese dalla visione di Martyrs…ho rivisto i 20 minuti finali…le sensazioni avute in 1^ visione non sono cambiate…é un film estremamente coraggioso,che porta lo spettatore quasi alla catarsi,all’empatia totale con la protagonista…una esperienza cinematografica indimenticabile…come dice velvet ne consiglio/sconsiglio la visione……ho visto e posso Testimoniare che è un film imprescindibile.
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Recensione straordinaria.
A quando un commento sul film Tzameti? Sono curioso di sapere che ne pensi.
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