Nel 1958 Anna (interpretata da Virgine Ledoyen, di una strepitosa bellezza tanto adolescenziale, quanto conturbante) viene assunta come addetta alle pulizie presso l’istituto ormai in disuso di Saint Ange, posto sulle Alpi francesi.
Dopo che gli ultimi bambini vengono portati in altra sede, Anna rimane in compagnia dell’anziana e protettiva cuoca, della temibile Madame Francard e della problematica adolescente Judith, unica ragazza senza speranza di adozione.
Anna ha un segreto, è incinta, e nasconde sotto dolorose fasce la sua gravidanza, nata da una violenza.
Incuriosita dal ritrovamento delle schede cliniche di orfani misteriosamente deceduti, da inquietanti visioni e dai racconti di Judith, la protagonista indaga in modo ossessivo sul passato di Saint Ange scoprendo una dolorosa verità.
E la reale natura di quelli che vengano chiamati “i bambini cattivi”.
Chi si decidesse a riprendere il primo lungometraggio scritto e diretto da Pascal Laugier, sull’onda dell’entusiasmo generato da “Martyrs”, è opportuno che sappia che potrebbe andare incontro ad una cocente delusione.
Gore quasi assente, morbosità estetizzata, nessuna ambizione tematica.
Il film in sè ha molti pregi, soprattutto di natura tecnica ed estetica, ma latita in profondità di scrittura, limitandosi a suggestionare visivamente con grande raffinatezza e cura, ma scadendo spesso nell’autocompiacimento da esordio che si ferma alla forma ostentata, ma non approfondisce la sostanza.
Diretto come se fosse un elegante film d’autore, il problema principale di “Saint Ange”, nonostante un montaggio millimetrico e i continui movimenti di macchina, è una lentezza, spesso dovuta a scene che vogliono contribuire al contesto e all’atmosfera, ma risultano solo tediose, che a metà film inizia a infastidire perché la storia, di per sé molto scarna, stenta a decollare e alcune facili metafore (i gattini annegati) non depongono a favore di un particolare sforzo ideativo.
Nel frattempo Laugier somministra qualche colpo basso (la caduta di Anna sui vetri rotti, il suo pugno rabbioso contro il ventre) e qualche efficace cheap-thrill, supportato da un ottimo sonoro e una bellissima soundtrack, ma fallisce nel creare tensione dedicandosi di più alla cornice che al quadro in esso contenuto.
“Saint Ange” appare principalmente come un’opera atta a mettere in mostra le proprie capacità, forse iperprodotta da Cristoph Gans (che in “Silent Hill” compie gli stessi errori e sembra rifare il verso sia alla scena dell’ascensore sia alla sequenza finale), forse ingenuo passaggio necessario perché il suo insuccesso risvegliasse in Laugier quella rabbia che in questo film è tenuta fortemente a freno.
Nonostante questi difetti palesi, si può comunque apprezzare l’evidente talento del regista, che ha un controllo portentoso di ogni singolo aspetto, e la fatica relativa di approdare agli ultimi e rivelatori momenti finali vale la pena di fronte ad una sequenza perfettamente riuscita di puro panico che sfocia in un silenzioso esito dall’interpretazione aperta, ma visionario e angosciante.
E la comparsa dei bambini cattivi o l’apparizione macabra e corale degli ultimi minuti (che ha ispirato “L’orfanotrofio”) rimangono impresse.
Poi arrivò “Martyrs” e il modello narrativo ed ideologico dell’innocente, vittima di soprusi da parte di un potere superiore bagnato di religione, ci esplose in faccia in tutta la sua (pre)potenza.
hardcore judas is my new hero
ergo lo debbo linkare
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@Riot: solo a patto di sapere dove hai comprato quella maglietta ultrafiga!
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ehehehe
una limited edition di fuck$imile
dai te la presto!
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