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Peace is for pussies

The tall man (I bambini di Cold Rock)

Uno dei dubbi rimasti irrisolti dopo la distribuzione di “Martyrs” non era se Anna avesse visto Dio ma: siamo di fronte a una spaventosa reazione a un esordio artistico deludente (“Saint Ange”) o al secondo spericolato passo di un percorso che si delineerà col tempo?

“The tall man” risponde al quesito e la conclusione è che Laugier ha scommesso tutto se stesso su una personale visione del genere horror in cui è già possibile individuare una forma mentale che è minimo comune denominatore a tre film completamente differenti fra loro.

“Martyrs”, con buona pace dei detrattori, ha rappresentato un tentativo vigoroso di ridare un significato, anche politico, al genere horror , strapparlo ulteriormente di mano al circo americano e alla sua rappresentazione ludica, mai catartica o disturbante, del dolore, rivoltare contro lo spettatore il torture-porn, unirlo in modo inusuale ad una rappresentazione archetipica dell’umanità e delle sue basilari istanze di sopravvivenza, giustizia e religiosità.

Evitato il suicidio creativo di replicare l’ordalia di violenza, e dopo aver rinunciato al remake di “Hellraiser”, non essendosi piegato alle richieste degli yankee, Laugier è rimasto in territorio culturale francofono in una produzione canadese che dopo la circolazione in vari festival ha ottenuto paradossalmente il plauso della critica di genere, nonostante lo scarso flusso emoglobinico e pur trascendendo i generi, e suscitato reazioni nettamente contrastanti nel pubblico.

I motivi sono facilmente identificabili: un trailer ingannevole che sembra proporre un residuo risalente agli anni ’80 di un canovaccio di Stephen King, twist narrativi imprevedibili e la provocazione scandalosa di usare la storia per istanze etiche.

Julia Denning (una sorprendente Jessica Biel, produttrice esecutiva) è un’infermiera che presta assistenza agli abitanti di Cold Rock nell’ambulatorio che era diretto dal marito, deceduto anni prima.

La cittadina è tormentata non solo dai tipici problemi di ogni estrema periferia dimenticata dallo Stato, ma anche dalla periodica scomparsa di bambini attribuita ad una leggenda locale, “the tall man”.

Dopo un incipit a metà tra un mockumentary e il dramma sociale, ma immerso in un’atmosfera minacciosa, la nuova vittima designata diventa il figlio di Julia che perde le tracce del rapitore dopo un rocambolesco e sanguinoso inseguimento.

Già sconvolta dalla reale esistenza dell’uomo misterioso e ferita, al suo ritorno in città viene accolta nel bar di paese, ancora aperto nonostante sia notte e con tutti gli abitanti in imperscrutabile attesa.

E a metà film accade l’impensabile, un capovolgimento di prospettive che spiazza lo spettatore che quando il film è ancora in corsa deve ripensare gli eventi, guardarli sotto un’ottica ribaltata e seguire ciò che avviene successivamente con estrema attenzione mentre la verità viene lentamente rivelata.

E non si tratta di un fastidioso inganno alla “Alta tensione” , ma di un colpo di scena ben allestito, di quei colpi di scena che ti inducono ad uscire dalla sala cinematografica o a restare inchiodato alla poltrona.

I pregi del film sono tanti e non inattesi: Laugier ha stile, ha occhio, ha senso del ritmo, non c’è un fotogramma o una linea di dialogo fuori posto, abbondano suggestioni e citazioni divertite (“Silent Hill”, in alcune location e nei disegni di Jodel Ferland, mezzo per esprimersi dato che è affetta da mutismo traumatico; “Shining”; “Jeepers Creepers”) e la costruzione della storia è solida, intrigante senza essere inutilmente arzigogolata o con ellissi che lascino spazio a congetture su eventuali buchi di sceneggiatura.

Un punto debole risiede in una rivelazione finale che non è sconvolgente o particolarmente coraggiosa come altrimenti avrebbe potuto essere.

D’altra parte un eccesso di sconvolgimenti avrebbe concentrato l’attenzione sulla storia in un passaggio delicato in cui Laugier ambisce ad esporre con lucidità un dubbio morale inconsueto e lontano dalla tipica morbosità dei film che abbiano come sfondo cronache di crimini ai danni di bambini.

“The tall man” costringe a riflettere persino sulle singole parole dei protagonisti per coglierne il significato fuggevole per la voluta ambiguità (che cos’è il ciclo di distacco e salvezza di cui sembra delirare il colpevole?), ricostruire nella propria mente ciò che è avvenuto e lascia, come le precedenti opere del regista, una sensazione pervasiva di malessere che va oltre il semplice spettacolo e ben rappresentata dal volto pallido ed etereo di Jodel Ferland che, ennesima scoperta in un film che fa delle scoperte la sua cifra, è la chiave di lettura di una storia visivamente esangue, ma psicologicamente crudele quanto una tortura.

Laugier descrive nei suoi film la parabola di vittime che raggiungono uno stadio di rinascita e infine di salvezza, e il tramite sembra ancora una forma diversa di morte con tutto il carico che si porta dietro di dolore necessario e inevitabile.

11 commenti su “The tall man (I bambini di Cold Rock)

  1. L’ho trovato bellissimo, ma un po’ furbetto nel messaggio “chi è ricco per forza di cose sarà un genitore migliore di te”, una polemica che è stata volutamente forzata dal regista. La furbizia sta nel fatto che a portare il messaggio e i dubbi è una vittima consapevole, che ha scelto il suo destino.
    Comunque ode a Laugier che ha intuito la bravura della Biel, finora nascosta dal fondotinta. Una volta struccata la Biel sa fare pure l’attrice.

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  2. Jeanluc
    01/09/2012

    L’ho visto poco fa, a me più di tanto non mi ha convinto, mi è piaciuto il gioco in cui si assiste del “chi è il buono, chi è il cattivo?” però si è perso in qualche buco, tipo non ho capito perché il tizio che vede la Biel nella camera con l’altare che guarda le foto quando torna al bar afferma “sta guardando le foto, sospetta qualcosa”.

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  3. Lenny Nero
    02/09/2012

    …che sospetti dell’agguato 😉

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  4. Lenny Nero
    02/09/2012

    Il film propone una provocazione, ma lascia più di un dubbio (Right. Right? Right?).

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  5. Paolo
    03/09/2012

    [SPOILER] Salve Lenny,
    le recensioni che scrivi sono sempre molto interessanti e basterebbe la tua “venerazione” per Martyrs a rendermi un fedele lettore del blog. Proprio per questo però, mi permetto di dire che questa volta mi sembri troppo clemente con il film in questione. Farraginoso nella trama, con una gragnola di colpi di scena telefonati che non ne semplificano certo la godibilità e, a mio avviso, anche parecchie lacune logiche. Faccio persino fatica a individuare la provocazione di cui parli. Sarebbe quella di un’organizzazione semi-umanitaria (molto semi) che sottrae bambini ai quali le famiglie non prestano la necessaria attenzione emotiva per inserirli in ambienti sociali che offrano più possibilità culturali e di inserimento nel “ciclo” istituzionale? L’affetto sembra secondario nonostante le reiterate affermazioni di amore nel monologo finale di Jenny. Organizzazioni simili esistono davvero, più o meno, ma di solito sono tutt’altro che filantropiche e no-profit. Mi sembra in fondo che questa interpretazione sia una sorta di nostro wishful thinking per fare un piccolo sconto a una carenza narrativa del copione e a una conclusione che sembra stato scritta in corso d’opera. Per carità, in giro viene osannato ben di peggio, e poi parliamoci chiaro, sarà anche meglio della media delle sue performance attoriali, ma tutto sommato Jessica Biel è utile all’esito del film quanto la sabbia nelle mutande…

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  6. Lenny Nero
    03/09/2012

    Non si può sempre concordare, no? Sapessi quanto detesto Ti West, per fare un esempio, eppure la critica horror lo osanna! A mio avviso la forza della provocazione sta proprio nel fartela comprendere, digerire e risporcarla ancora nei dubbi finali quando pensi che ormai il film si esaurisca in modo didascalico. Inoltre mi piace la poetica del dolore delle vittime di Laugier, anche se in questo caso è di natura più “intima”.

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  7. Red man
    04/09/2012

    [SPOILER] Lenny che ti devo dire… ma come è insopportabilmente didascalico questo finale?! Poteva anche essere considerato un bel congegno questo soggetto e fino ad un certo punto ha funzionato pure. La provocazione anche andava prendendo forma ma… ma che mancanza di senso critico questo Laugier!? Come non essere d’accordo con Paolo?
    C’era bisogno di sottolineare così marcatamente la nobiltà utopistica delle intenzioni della coppia, “normalizzandole” nel disegno di una fantasmagorica organizzazione per costruire un contrappeso al nostro distacco nei confronti della rapitrice di bambini? avevamo davvero la necessità di assistere allo spiegone offeso del tall man nel suo rifiuto dei soldi (c’avrei visto bene un John Wayne a leggere quella battuta)? o all’ennesima carrellata con voce da fuori campo a evidenziare ancora il Julie-sacrificio dietro le sbarre? ci serviva davvero la chiosa della ragazzina ad appiattire l’ambivalenza faticosamente costruita attorno alla parola “madre”? e infine, sentivamo l’esigenza di questi tre dubbiosi “right” in chiusura per iniziare ad interrogarci?
    Ci dici che non c’è un fotogramma o una linea di dialogo che siano fuoriposto, ma io vedo almeno venti minuti di film che avrebbero avuto miglior sorte a dissolversi in sala montaggio invece di farci percepire la scarsa considerazione che Laugier ha del suo pubblico pagante (…si fa per dire).
    Ah come mi infastidisce il regista che forza un movimento da cui si esce vivi solo se dotati di innata eleganza e poi si dimostra essere un dozzinale fanfarone che strizza l’occhiolino dopo averti venduto il dvd…
    Penso proprio che Martyrs neanche lo vedrò. Preferisco immaginarlo che sentirmelo spiegare da Laugier…

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  8. Lenny Nero
    04/09/2012

    Le tue sono osservazioni condivisibili, eppure, per una volta, non ho pensato che la lunga coda finale fosse superflua od offensiva per la mia intelligenza, ma necessaria, forse un po’ troppo prolissa (inoltre nella mia recensione quando scrivo di una delusione mi riferisco all’identità dell’uomo che credo chiunque identificherebbe almeno mezz’ora prima). Da un punto di vista narrativo e drammatico il finale è perfetto, se vuoi accademico, sicuramente non da semplice film horror. Tu che aspettative avevi, soprattutto di fronte a un trailer che ti fa temere che assisterai a un teen-horror? Inoltre in “Tall man” non c’è solo il finale, ci sono tre quarti di film prima. Mi sembra un po’ ingiusto concentrarsi solo sul finale. Nota fondamentale: se queste sono le tue critiche, allora DEVI guardare “Martyrs” (che va visto a priori). Poi però non tornare qui chiedendo uno spiegone. Online esiste un numero infinito di thread sul finale di “Martyrs” (su cui io ho un’opinione precisa che ovviamente è quella veritiera). 😉 Ho recensito questo film con un occhio anche ai due precedenti e se uno li ha visti può capire meglio anche l’operazione svolta da Laugier con quest’ultimo.

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  9. M
    24/06/2015

    Leggo quest’ultimo commento e penso che forse mi sono perso un dettaglio…
    “mi riferisco all’identità dell’uomo che credo chiunque identificherebbe almeno mezz’ora prima”—- era il marito oppure ho travisato tutto?
    (visto che è uno spoiler, se vuoi non pubblicarlo e rispondimi mettendo un post a qualsiasi articolo del mio blog, grazie!)

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  10. Lenny Nero
    24/06/2015

    SPOILER: non hai travisato 😉

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  11. M
    24/06/2015

    Grazie!

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Questa voce è stata pubblicata il 27/08/2012 da in Cinema, Flussi di incoscienza, recensione con tag , , , .

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