Quando vengono riposte aspettative nel talento di un regista che fatica, purtroppo, ad emergere si è quasi felici che un suo passo falso scivoli velocemente nella cantina dei film trascurati quando il film in questione è oggettivamente trascurabile.
“Intruders” detiene solo una valenza critica nella carriera ancora stentata di Fresnadillo dato che ne conferma le indubbie doti visionarie e la capacità di creare atmosfere surreali ed inquietanti, ma al di là di questo dato il film, penalizzato da una sceneggiatura addirittura redatta a quattro mani che si barcamena tra le categorie del banale e dello stolido, riesce a offrire una manciata di sequenze suggestive soffocate da una trama prevedibile, a tratti imbarazzante, che non sfrutta nemmeno la possibilità di incastrare in modo ingannevole i diversi piani temporali di due storie apparentemente parallele.
A Madrid, un bambino di nome Juan è tormentato dalla presenza di un mostro senza volto che solo lui vede.
Tra esorcismi e un agguato notturno, Juan scriverà la sua storia su un foglio.
A Londra, Mia trascorre una giornata a casa dei nonni e scopre nascosto in un albero proprio il foglio di Juan.
Da quel momento la creatura che si supponeva essere solo una fantasia immaginaria, o frutto di follia o possessione, ricompare e l’unica persona in grado di vederla è il padre di Mia, John (Clive Owen), a cui la figlia è profondamente legata.
John installerà telecamere di sicurezza per identificare l’assalitore della figlia, ma le riprese mostreranno una realtà da interpretare.
Premesso che leggendo la sinossi e dando uno sguardo distratto al manifesto del film è facile dedurre quale sia il twist narrativo, con lo sforzo originale di descrivere una situazione di follia a due che si accetta come dato di fatto, ma che presuppone un legame psichico intenso e patologico, più suggerito che evidente, il film deraglia proprio quando dovrebbe crescere.
Dopo un prologo degno dei migliori incubi, “Intruders” non annoia, ma non regala mai vere sorprese e Fresnadillo si impegna a creare tensione o proiezioni mentali che non sfigurerebbero in un episodio video ludico di “Silent hill”, ma viene trasgredita una regola fondamentale: se la natura del mostro viene rivelata subito, e per di più non è neanche reale, il mostro cessa di incutere paura almeno che non rimanga qualche scampolo di mistero.
Inoltre l’eccessiva concentrazione sulla cornice visiva va a discapito della creazione di una reale empatia per i protagonisti e tra gli attori non sembra mai esserci vera alchimia o una direzione sicura, nonostante la professionalità di Clive Owen e Carice van Houten (nel ruolo della madre di Mia), tanto da far sembrare fuori tono e retorica una sequenza finale che ambirebbe a essere lirica e persino commovente.
A parte la relativa soddisfazione per la confezione elegante, e per la curiosità verso un nuovo film del regista di “Intacto” e “28 settimane dopo”, insorge il dubbio che Fresnadillo si stia lasciando trasformare da promettente cineautore ad artigiano degli studios e l’annuncio della sua nomina alla direzione del remake di “Highlander”, con Ryan Reynolds protagonista, sembra confermare l’ipotesi.