Non tutto torna, la parte investigativa iniziale è fin troppo preponderante nell’economia generale e tutto si gioca sul non detto, ma sono proprio il non detto e l’assenza di un vero dialogo intimo fra le coppie ciò che crea un terreno domestico di caccia per il predatore giapponese (mentre il serial killer statunitense, citato nelle lezioni del protagonista, catturava prostitute).
Nella quotidianità si annida un malessere strisciante, soprattutto fra le donne, e in quei piccoli buchi neri personali un vampiro di famiglie può avere gioco più facile di quanto sembri per portare avanti i suoi piani distruttivi.
Film più leggibile e urlato nel messaggio di altri diretti da Kiyoshi Kurosawa, con un certo occhio alla cinematografia di Fincher, ma sempre ricercato nello stile apparentemente minimale (gradazioni di luci che cambiano durante i dialoghi, ombre che nascondono o rivelano, una colonna sonora costituita come in Cure, autocitato con toni più dark in una scena, da un tappeto di vibrazioni interrotto ogni tanto da brevi frasi musicali).
Per diversi aspetti (la polizia inetta) sotteso anche da un certo humour che vira presto verso l’ennesima satira amara su una società misogina sempre sull’orlo del fallimento.