Lars von Trier è un adolescente con un enorme talento e ho sempre amato il suo sbattersene le palle e m’ha sempre lasciato riflessioni di un certo livello, ma questa volta no.
Il testo: già ODIO i film didascalici e questo è orribilmente didascalico, con un livello di profondità di discorso sull’arte di una banalità e una superficialità disarmanti.
Scordatevi non dico i bergmanismi, ma neanche le lunghe digressioni recitate da Stellan Skarsgård in Nymphomaniac.
Se (primo livello) v’interessa un film che chiude il discorso su violenza, perversione e serial-killer E sullo spettatore di certi film esiste Headless. Non usa parole ma allegorie e davvero fa scappare la gente dalla sala. Se (secondo livello, da dolente pensatore) cercate una riflessione sulla pervasività della violenza nella società e sugli artisti falliti (ingegneri vs architetti), qui siamo in territori Smemoranda.
Detto questo, sparse ci sono immagini e idee BRILLANTI, l’ho evidenziato subito il talento di von Trier, saprebbe fare il cazzo vuole solo che s’è messo a pensare SE può fare il cazzo che vuole. È come quando Reznor ha smesso di drogarsi e ha iniziato a guardarsi l’ombelico.
Il regista ha messo le sue palle sul ceppo dei suoi critici (e delle sue critiche più ricorrenti, miopi e stereotipate sulle quali neanche torno perché definire misogino il miglior descrittore della misoginia interiorizzata è un punto su cui mi giro dall’altra parte da sempre) e se l’è tagliate da solo, in un ultimo atto di narcisistico pentimento.
In definitiva è un oggetto curioso e ameno da guardare, troppo spesso sfilacciato e tedioso, con riferimenti politici di grana grossa (la MAGA family) e della portata contenutistica della tesi di un ragazzino. Se fossi una persona seria, e soprattutto se meritasse dedicarci del tempo, proporrei un parallelo fra la sequenza in cui Lili Taylor, nel pur intellettualissimo, e consapevole di esserlo, The addiction, medita sui campi di concentramento e quella centrale in cui Jack/Lars prova a giustificare l’arte del marcio/del Male con argomentazioni trite a cui la sua coscienza impersonificata da Verge non riesce a replicare in modo convincente, come prevedibile in un dialogo fra ubriachi.
Concludo con un commento inevitabile: se davvero qualcuno è uscito perché sconvolto (ma da che cosa?) visto il tono da “io von Trier mi rifletto nel ragionier Filini dei serial-killer” (il film è una dichiarata non proprio divina commedia) e non perché annoiato, il disturbato non è von Trier.