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Peace is for pussies

Macabre (Rumah Darah)

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Primo lungometraggio firmato The Mo brothers (Timo Tjahjanto e Kimo Stamboel), è interessante, anche se non imprescindibile, per due motivi.
Uno è di ordine cinefilo: osservare i primi passi di Tjahjanto, che in The ABCs of death e in V/H/S 2 ha dimostrato di essere un talento da seguire nel tempo, confermare l’idea che la sua creatività abbia la grazia tecnica di uno sniper moderno, ma la brutalità di un fucile a canne mozze, e conoscere meglio (come sempre a fatica) la produzione indonesiana di genere.
Il secondo è di ordine ludico: cercando di non interpretarlo come segno di incipiente senilità, non riesco più a divertirmi profondamente come anni fa con uno slasher che non offra anche spunti di riflessione, un contesto originale, nuove suggestioni visive (e la produzione asiatica, pur generalizzando, spesso ci riesce e gli esempi sono ormai innumerevoli), che non osi persino sfondare la barriera fra intrattenimento pornografico e autorialità, che oltre al semplice macello non offra una visione personale o, comunque, elementi di spessore anche su altri livelli.
Da questo punto di vista Macabre, forse anche per le aspettative alte in un confronto con i due corti successivi, mi ha soddisfatto a metà: come contenuti non siamo per nulla da lontani da idee digerite e rivomitate in ogni modo dalla filmografia yankee (gruppo di ragazzi ingenui, cene cannibalistiche, un po’ di esoterismo a buon mercato, famiglie disfunzionali, la periferia di Jakarta come equivalente di un villaggio di redneck).
Tuttavia si tratta anche di un film che nasce come versione estesa di un corto diretto per farsi notare e alla guida di questo bagno di sangue ci sono le menti di due persone che prendono molto sul serio la violenza, sanno come rappresentarla, come condurla oltre i limiti facendo impallidire il concetto di grand-guignol e offrono una carrellata adrenalinica e priva di soste di torture, mutilazioni, arti spezzati, sbudellamenti, decapitazioni e scontri all’arma bianca o a colpi di sega elettrica (mi sono trattenuto per decenza dall’applaudire).
I primi venti minuti, con qualche dialogo incisivo e senza fronzoli, stabiliscono già la personalità dei protagonisti, i loro rapporti, i loro dissidi.
Ci presentano gli attori in scena e la scena stessa, costituita dall’opulenta casa in cui abita Dara (glaciale, robotica, di una bellezza plastica e innaturale, una figura demoniaca femminile che lascia il segno nell’immaginario) e quando avviene ciò che è scontato e inevitabile inizia la danza di morte.
Quindi, ingranata piano piano una marcia dopo l’altra, il lungo massacro può avere luogo.
I Mo brothers non rinunciano mai a tenere alta la tensione per non far calare il ritmo, scivolano in diverse ingenuità narrative o implausibilità compensando con l’energia delle immagini o con qualche idea narrativa ellittica (il ritrovamento delle riprese di un’agghiacciante educazione scolastica al cannibalismo e delle foto di famiglia e bastano poche immagini per descrivere in qualche minuto un’intera vita di orrore e il mistero dietro l’età di Dara).
Alternano momenti di furia ad altri di panico riuscendo persino a innestare una svolta dai toni satirici e grevi che vede coinvolto un gruppo di poliziotti, ulteriore materiale umano da aggiungere al tritacarne.
La commistione di toni non serve tanto ad alleggerire il clima, ma, all’opposto, ad appesantire il contrasto tra l’inconsapevolezza dei malcapitati e l’inesorabilità che li travolge.
I registi, ed è il dato che più di altri eleva sopra la media questa versione indonesiana di Non aprite quella porta (con riferimenti derivativi successivi, annessi e connessi, ma con un piglio meno cupo e intenti di malsano intrattenimento), curano particolarmente la costruzione delle scene con un’attenzione evidente per inquadrature e gli aspetti tecnici che rendono il film, almeno formalmente, molto ricco, caotico, ma senza cedere alla facile tentazione di telecamere a mano o montaggi epilettici.
Sembrano già esserci i presupposti di quel caos controllato che Tjahjanto dichiara di aver ricercato per Safe heaven, un’idea che in tempi di soluzioni amatoriali spacciate per autoriali suona reazionaria, quando invece stabilisce la differenza tra chi sa costruire una scena e chi al massimo riesce ad abbozzarla.

5 commenti su “Macabre (Rumah Darah)

  1. Io invece l’ovazione la feci eccome!
    Ho un ottimo ricordo di questo film (dovrei avere anche la recensione) che ho nel mio calderone dei “cazzoni”. Io non ho apprezzato granché il suo contributo ad abc e vhs perché mi è parso troppo sotto controllo dagli yankee. Il demone di safe heaven se lo poteva risparmiare nel finale, no?

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  2. Lenny Nero
    02/08/2013

    Ho letto la tua recensione proprio sul portalone. 😉 Se ne potrebbe discutere. Io ho trovato più tematicamente yankee questo, anche se ha peculiarità “estranee”. Il demone finale di Safe Heaven in effetti non è una soluzione grandiosa, ma contano il ritmo, il bagno di sangue e lo humour nero a palate. È un palese divertimento. Invece L mi ha quasi entusiasmato, ma sarà che di quella raccolta ho salvato tre corti perché la media degli altri è spesso inqualificabile…

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  3. Effettivamente L è una botta di vita e conosco un pelino(!) i tuoi gusti, quindi immagino ti sia entusiasmato 🙂
    Safe heaven mi ha lasciato un pò così. In ogni caso l’ho trovato il migliore, anche perché il resto… che azatoth ce ne tolga 😦
    Macabre invece lo trovo una bombardata di idee e cena+motosega mi hanno fatto sciogliere. Non è che magari senza Stamboel gli manca una costola a Tjahjanto? Tu che conosci (invidia, maldetto) questo cinema cosa ne dici?

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  4. Lenny Nero
    02/08/2013

    In questo caso non saprei. Dovremo aspettare Killers per capire che faccia mai Kimo. A naso il pazzo furioso è Timo, il collega ci mette la cornice, ma forse è prematuro per dirlo. (Magari conoscerlo come vorrei…)

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  5. Allora aspettiamo e speriamo per il meglio. che se i thai continuano così ce n’è da divertirsi!

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Questa voce è stata pubblicata il 02/08/2013 da in Cinema, recensione con tag , , , .

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