L’atelier genovese “A modo mio” ospiterà dal 9 al 29 Febbraio le opere di Etienne Zerah, sperimentatore visivo che recentemente ha pure esposto a Berlino la provocatoria serie “Enjoy Opus Dei“.
Ha sfruttato fin da subito il mezzo fotografico per esprimersi, applicando ad esso canoni estetici derivativi dei suoi studi accademici e pittorici, mescolati con stilemi moderni mediati dall’influenza (mai celata, ma metabolizzata in modo personale) di Mapplethorpe e Lachapelle, con un occhio alla grafica moderna.
In continua evoluzione, passando da atmosfere oniriche e simboliche fino al grand-guignol, pone al centro delle immagini la figura umana, in particolare i volti od il corpo nudo (esibito con sfrontatezza) ed abusa frequentemente di se stesso trasformandosi e travestendosi: adottando il ruolo di camaleonte, ed entomologo, si infiltra nella realtà e ce ne rimanda la sua visione.
Ed è una visione superpartes la sua, priva di moralismi, e proprio per questo risulta tanto piu’ cinica ed efficace.
Se da una parte il grande tema da lui affrontato è ad una prima lettura quello dello “status quo” del mondo (in campo politico, ecologico, sessuale e religioso), cio’ che traspare è qualcosa di meno macroscopico e piu’ intimo: un senso di in-sofferenza interiore, castrata ed inespressa, che conquista uno sfogo con la mimesi di cio’ che disgusta, per odorarlo sulla propria pelle e mostrarne agli altri i segni, le conseguenze.
Esempio evidente sono gli scatti della serie “Saints&Skins“, frutto di un’esperienza personale di cambiamento del proprio look con quello nazi-suburbano.
La figura maschile che riflette in modo inerte, e quasi passivamente, la realtà che lo sovrasta è uno stratagemma adottato pure nella cinematografia di Stanley Kubrick (Barry Lindon, Eyes Wide Shut): EZ si fa filtro e specchio e mostra quello che si nasconde sotto la superficie, sotto le luci abbaglianti di una realtà che acceca e nasconde i piccoli dettagli perversi di vite comuni: poliziotti corrotti e tossici, preti lussuriosamente masochisti, studenti anestetizzati alla violenza e devoti alle sacre sneakers.
Luci e colori abbondano, decorativi e apparentemente cool, ma sono come lisergiche luci di wood che rivelano le tracce dei nostri scheletri nell’armadio o delle nostre debolezze.
La costruzione delle immagini è sempre rigorosamente fondata su fredde simmetrie che fanno da contrappunto ai corpi doloranti, al sangue, alle strisce di droga su cravatte ufficiali non ripulite, incorniciati in moderni santini.
In un atto di anti-narcisismo, EZ non esibisce se stesso come tale, ma fa suoi alcuni principi della body-art, usando il corpo come puro mezzo espressivo.
L’autoritratto perde la funzione fissatrice della formalina e ad ogni opera ci si trova di fronte ad una nuova maschera.
Superata l’autoreferenzialità, traspare la realtà attraverso il corpo stesso dell’artista.
Se da una parte di Lachapelle ritroviamo il gusto per l’esagerazione del dettaglio o per l’eccesso cromatico, dall’altra il mood è quello sarcastico di Mapplethorpe: l’ironia è amara o cattiva e la sensazione che rimane, di fronte ad immagini a volte costruite secondo i canoni patinati delle cover pop, è quella di aver osservato un retro-copertina inatteso che ci priva di ogni aura illusoria.
Davvero fantastico!
Penso proprio che farò un salto a vedere la mostra di questo artista.
Grazie per la tua segnalazione e recensione!
Loki
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