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Peace is for pussies

L’estate dei morti viventi – J. A. Lindqvist

emvIn piena estate, a Stoccolma, la natura sembra impazzire: caldo torrido, un campo elettrico di intensità fuori controllo, luci e apparecchi che non si spengono, un ronzio devastante e lo scatenarsi di un’emicrania collettiva.

E una larva che penetra silenziosamente in una lapide.

Poco dopo i morti si risvegliano.

E quando ci si sente perduti si tenta solo di tornare a casa.

In seguito alla pubblicazione anche in dvd dell’ottima trasposizione cinematografica del predecessore “Lasciami entrare”, spero che finalmente Lindqvist ottenga l’attenzione che si merita.

Nell’arco di soli due romanzi ha rimodellato i moderni archetipi horror in modo talmente forte e personale da poter essere considerato uno dei veri innovatori della letteratura di genere, ma anche un autore di talento che per merito della profondità della sua scrittura si eleva ben oltre ogni etichetta possibile.

Non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo, che induce a pensare alla versione cartacea di un film della Hammer: “L’estate dei morti viventi” è un testo affascinante e surreale in cui nuovamente la figura del mostro è solo il termine di confronto per i protagonisti e il loro mondo.

Lindqvist adotta una prospettiva tra il romantico, il politico e l’esistenzialista, non gli interessa spaventare o turbare gratuitamente, ma suggestionare e indurre a riflettere, trascinandoci in un contesto che da un giorno all’altro perde ogni suo punto di riferimento.

Se “Lasciami entrare” è il racconto della crescita e liberazione di due bambini, “L’estate dei morti viventi” è un romanzo di formazione per adulti.

Costruito su un’alternanza studiata di ritmi e stili, ricco di momenti evocativi e carichi di tensione, così come di brillanti intuizioni narrative, non si sofferma sui fatti e le loro cause (un accadimento gravissimo nei piani celesti ha avuto come effetto collaterale di risonanza la resurrezione? Parafrasando l’autore, un uragano ha provocato il battito d’ali di una farfalla, psiche, cioè anima, in greco?), ma sulle loro conseguenze, sia su un contesto cittadino più ampio sia nelle vite paradigmatiche di persone che hanno perduto da poco i loro cari più stretti: una moglie, un marito, un figlio.

Ciò che accomunerà tutti i personaggi, a parte la disincantata e darkettona Flora (per cui l’unica divinità soprannaturale è il capo dei Supplizianti di Hellraiser), che ha un rapporto costante con la morte ed è dotata di una sensibilità quasi precognitiva, è una speranza generata della disperazione che li porterà a voler avere una nuova forma di contatto con i deceduti.

Da parte loro gli zombie non sono altro che corpi in cui è intrappolata un’anima che ha perso la strada e come tali, spinti da una meccanicistica coazione a ripetere, non possono che muoversi per tornare alle loro rispettive case.

Le poche parole pronunciate dai morti più recenti, o qualche gesto primordiale dovuto a riflessi nervosi, alimentano il sogno dei vivi di riabbracciare e curare l’amore che era stato loro sottratto, nonostante la realtà dei fatti sia palese.

Il momento in cui il nonno del redivivo Magnus, già in corso di putrefazione, lava il nipotino nella vasca di bagno per renderlo più presentabile alla figlia, è una delle pagine più grottesche e strazianti che si possano leggere, in cui l’affetto incondizionato si scontra contro capelli che cadono, liquami e flatulenze viscerali, pelle dalla consistenza papiracea.

Il delirio che può derivare dall’incapacità umana di accettare il trapasso raggiungerà l’apice quando l’organizzatissima società svedese allestirà, in quartiere disastrato abitato da reietti, un enorme campo di concentramento per consentire le visite dei parenti.

Gli zombie sono un’enorme incognita: non appaiono minacciosi, non comunicano, sono di fatto individui inclassificabili e non inquadrabili nella società, nè soggetto né oggetto di normative di legge, e se la scienza li adotta come cavie, la politica instaura lo stato di polizia e l’apartheid, ma sempre col sorriso e la cravatta.

Alcuni dei non-morti addirittura si nutrono di se stessi, come se volessero liberare qualcosa dalla gabbia del proprio scheletro, e reagiscono, debolmente e per istinto, solo se aggrediti.

L’enigma prosegue, tra drammi personali, fughe, disseppellimenti, apparizioni mariane e proselitismo apocalittico, fino a che emerge un dato inaspettato: gli zombie sono conduttori di onde cerebali e in loro vicinanza le persone possono leggere i pensieri altrui o comunicare telepaticamente.

E quando si può accedere direttamente alla mente di un’altra persona senza passare dal filtro della sua parola, rabbia, ansia e verità sottaciute si amplificano con conseguenze sui vivi, ma anche sui non-morti, che come in uno specchio riflettono pericolosamente il sentimento che li ha raggiunti. scoprendo il rifiuto, il disgusto e l’insostenibilità della loro condizione.

L’autore rinuncia a prevedibili e roboanti scene di cannibalismo (anche se il gore disseminato lungo i capitoli lascia il segno) a vantaggio di un’impostazione distopica e intimista, che si apre verso un finale visionario, creando una narrazione strutturata in modo equilibrato su più livelli che si concentra soprattutto su coloro che sono rimasti al di fuori della tomba.

Senza scadere del didascalismo o nella filosofia d’accatto, Lindqvist riesce a raffigurare un’intera società e il singolo individuo messi a nudo, spogliati di ogni difesa, di ogni possibilità di comprensione per l’esterno, privati persino dell’inconfutabile dicotomia tra vita e morte, che ora si cercano, si avvicinano, si incontrano; ma la volontà di gestire persino il più estremo sovvertimento naturale, in un mondo che tutto vuole controllare e programmare,  persino la più inevitabile e inaccettabile delle sofferenze, supremo scorno per la presunta onniscienza umana, avrà effetti dolorosi per entrambe le parti in causa.

Eppure la soluzione è a portata di tutti, nei loro cuori.

O in quella misteriosa larva che penetra nelle lapidi, bisognosa di una prigione materiale in cui collocarsi, in qualunque condizione essa si trovi.

Segnalo la recensione di Elvezio Sciallis.

8 commenti su “L’estate dei morti viventi – J. A. Lindqvist

  1. isaakcollijns
    30/05/2009

    Beh lindqvist e’ un genio incontrastato.

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  2. caino
    31/05/2009

    qui mi casca l’asino. non ricordo se ho parlato di questo libro, ma lo lessi quasi un anno fa. è un libro abbastanza deludente, costruisce tensione sul nulla.
    mentre “lasciami entrare” [di cui ho visto solo il film] rompe le linee del genere, “l’estate dei morti viventi” ha, amaramente, la capacità di diventare sempre più ridicolo.
    Bellissimo l’inizio, le idee, bellissima la scelta di non parlare di morsi, di contagio. Alcune decisioni dello scrittore sono geniali.
    Ma cosa succede quando il lettore diventa affamato? I cliché in fondo mancano e non succede nulla.
    Si aspetta a vuoto.
    E’ sedersi ad un tavolo e mangiare solo un pinzimonio.
    Gli zombie sono molto di più di quanto ha raccontato Lindqvist, sono una metafora potentissima, sono uno strumento narrativo moderno e splendido.
    Leggere questo libro mi ha fatto incazzare.
    Detesto gli sprechi.

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  3. Lenny Nero
    31/05/2009

    @Caino:

    a me il libro è piaciuto proprio per l’impostazione originale, il rifuggire dai clichè e la visione degli zombie come un quinto stato, come ha scritto Sciallis. Se ti aspetti massacro ed apocalisse allora ti delude. Ma anche in Lasciami entrare la figura del vampiro, di fatto, rimane sullo sfondo, è solo un catalizzatore di eventi e nevrosi.

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  4. caino
    31/05/2009

    ma questo è indiscutibile, e concordo pienamente.
    tuttavia il libro suona vuoto, complice il finale e la trovata della larva che è “pure cheating”. in genere il paranormale ha peggiorato la storia, perchè mi sono aspettato altro.
    l’aspetto “realistico” della storia [e che anche tu sottolinei come pregio] che priva gli zombie dei loro cliché si schianta contro un climax che ho trovato ridicolo, ghostbusteriano…

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  5. Antonio Sofia
    13/01/2010

    Ciao Lenny. Premetto che non sono un appassionato di horror, in nessuna forma. Ma sono anche estraneo ai pregiudizi.
    E la scrittura di Lindqvist mi affascina e colpisce, portandomi in un universo di tristezza verosimile, quasi uno specchio di quel che vedo andando al lavoro, tornando a casa, ma in una stanza dalla luce perfetta.
    Volevo recensire questo secondo romanzo ma credo tu l’abbia fatto molto bene. Segnalerò la tua recensione nel mio blog.
    Complimenti e alla prossima, chissà.

    A.

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  6. Pingback: John Ajvide Lindqvist, L’estate dei morti viventi | Al bar dello sport

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  8. The Butcher
    03/03/2015

    Ottimo articolo. Hai detto tutto questo che c’era da dire su questo libro e su Lindqvist. Il modo originale con cui ha descritto gli zombie mi ha preso moltissimo e anche la psicologia dei personaggi è stata trattata con cura.
    Adoro questo autore.

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Questa voce è stata pubblicata il 30/05/2009 da in Flussi di incoscienza con tag , , .

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