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Peace is for pussies

Redacted

redacted-poster1The truth is the first casualty of war.

 

Premiato con il Leone d’Argento per la miglior regia al Festival di Venezia 2007, “Redacted”, già privo di particolare appeal commerciale, è stato oggetto di una silenziosa omertà che l’ha visto esiliato dalle sale e pubblicato direttamente in dvd nel corso del 2008.

 

E’ vero che Brian De Palma era reduce dal fallimento imbarazzante di “Black Dhalia”, ma riuscire a oscurare un inopinabile talento, che ha diretto film che rimarranno nella storia del cinema, è l’ennesima dimostrazione che le logiche commerciali guidano persino la diffusione di opere di denuncia e se non sei un clown sul palcoscenico della retorica superficiale e ufficiale, quale Michael Moore o Al Gore, allora sei considerato un sovversivo, fastidioso per tutti, specie se, nel frattempo, il mondo, illuminato dal Messia Nero, vuole sognare, perché ora si può, e la guerra diventa una fiction horror e si vuole pensare solo al proprio orticello (come se l’ennesima guerra del Golfo non fosse stata organizzata proprio per proteggere quest’ultimo).

 

In uno scatto di evidente umiltà, il regista azzera i virtuosismi celebrati, quanto fini a se stessi, e la sua forma cinematografica, che si barcamena tra il barocco e il grand-guignol e che più volte ha indotto a etichettarlo come un emulo pulp di Hitchcock.

 

Inoltre, pur girando un altro film intorno ad uno stupro da parte di militari a danno di civili, De Palma non segue la strada già percorsa con il durissimo “Vittime di guerra”, ma ne aggiorna l’inquadramento visivo ai tempi del social network facendo emergere in modo semplice e diretto l’essenziale novità delle guerre recenti: propaganda per immagini.

 

E dopo che persino Israele, frequentemente laconico su azioni e decisioni, ha deciso di illustrare le proprie mosse di guerra tramite YouTube si può affermare che De Palma abbia colto nel segno.

 

L’episodio centrale è lo stupro da parte di soldati americani di una quindicenne irachena e il massacro della vittima insieme alla sua intera famiglia.

 

De Palma trascende l’episodio stesso tratteggiando con una sinteticità impagabile la non-vita, di attese e paura, dei commilitoni e degli stessi iracheni all’epoca del governo post-Saddam, ma soprattutto si concentra, in modo freddo, e a volte tragicomico, sul modus narrandi.

 

Con un colpo di genio, semplice ed efficace, non si limita come altri vecchi in cerca di una versione 2.0 di se stessi (v. George Romero in “Diary of the dead”) a imbracciare la digicam, ma narra la storia attraverso le riprese di un militare, la rete di sorveglianza, le interviste di una giornalista, i servizi televisivi di televisioni europee e arabe, video-chat tra protagonisti e parenti, video dai blog, pubblicati su YouTube e quelli efferati diffusi dai siti ribelli (capirete perché la decapitazione di Berg è sembrata falsa e diretta da qualcuno che non avesse idea di quanto sangue possa sgorgare da un corpo decapitato) e un film diretto da inventati registi francesi che descrive in modo asettico e innocuo le attività dei militari a un posto di blocco (prima che i colpi che si abbattono su una donna incinta ci restituiscano una prospettiva di ben altro impatto).

 

Tutto vero? Tutto falso?

Che cosa accomuna un documento redacted, cioè rivisto da una redazione di controllo (come quella che apporterà opportune cancellature sui documenti dell’inchiesta a carico dei militari) alla realtà di oggi, iper-registrata, sovra-documentata, diffusa in ogni modo e luogo e commentata fino al generarsi di una babele in cui si perde il senso degli eventi e la comunicazione diventa incomunicabilità globale?

 

La frammentarietà.

 

Ogni mezzo racconta il punto di vista delle persone riprese, un brandello della storia, lo filtra e lo rimanda parziale.

 

Noi spettatori abbiamo la possibilità di ricevere il quadro d’insieme, ricostruirlo, formarci un’opinione, perché il regista ci mette a disposizione tutte le tessere del mosaico.

 

Tuttavia nel resto del mondo chiunque vedrà solo ciò che potrà o vorrà vedere, rinunciando a un pezzo di verità.

 

Siamo noi i nostri redattori e censori, con la nostra parzialità, volontaria e involontaria, e le immagini non servono più per documentare, ma per sobillare, ingigantire i fatti, essere rilanciate come pallottole scatenando reazioni e commenti stereotipati da entrambi le parti in gioco, rappresaglie sempre più cruente o mettendo il fuoco al culo dei censori disposti a fare il lavaggio del cervello ai militari dotati di coscienza o a far sparire ogni ripresa compromettente.

 

Delle macerie di questo barnum bellico, che assorda e stanca, ma non informa, rimangono gli effetti collaterali, i cadaveri, esposti in una breve e shoccante carrellata fotografica di morte..

 

E scorgeremo la fonte di ispirazione della fiction precedentemente vista tra quei corpi, reali (la donna incinta uccisa al posto di blocco, la vittima dello stupro), ormai muti e che hanno potuto lasciare come messaggio al mondo solo il loro sangue.

 

In pochi secondi si compie uno scarto terribile tra l’interpolazione del dramma cinematografico, che smuove le emozioni, ma è infine innocuo e rappresentativo, e l’orrore tangibile, che ti soffoca le parole in gola e non arreca con sé nessun effetto catartico.

 

6 commenti su “Redacted

  1. Matthew Hopkins Jr.
    07/01/2009

    “Noi spettatori abbiamo la possibilità di ricevere il quadro d’insieme, ricostruirlo, formarci un’opinione, perché il regista ci mette a disposizione tutte le tessere del mosaico”.

    Si ma cosa precisamente mette a disposizione? E come?
    L’ultima immagine del trenino di cadaveri è la donna violentata ed uccisa di cui parla la storia: è una immagine dipinta, o meglio digitalizzata, falsa-falsissima. Ho trovato abbastanza disgustoso che avesse messo un fake alla fine della carrellata, è come dire: visto che non si può chiaramente distinguere tra realtà e propaganda in un conflitto, allora tutto quello che si può fare è portare questo all’estremo, ovvero:
    (i) Raccontare una storia vera dichiarandola tale all’inizio ma poi rendendola verosimile, ambigua (mischiandola alla vendetta ed ai rimorsi del soldato) ed ammorbante (troppi dettagli da voyeur) come in una puntata di un talk show;
    (ii) Mischiare immagini documentarie a fiction cercando il più possibile di renderle indistinguibili.

    Sarebbe questo il modo giusto di De Palma di reagire ai meccanismi della censura? Rendere spudorata e falsare una storia di cronaca nera (lo sturpo di una ragazzina di 15 anni) propinando ciò per un giudizio contro la guerra in Iraq? Oltretutto inserendo in una vera decapitazione elementi di finzione (taroccando la sequenza)?

    Si è dimostrato un cinico paraculo: l’Antonio Ricci della situazione. C’è molta più onestà e profondità in “Nella valle di Elah”.

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  2. Steve
    07/01/2009

    Non ho ancora visto Redacted, ma volevo solo puntualizzare che dal punto di vista commerciale Black Dahlia non è stato un fallimento come dici (50 milioni di dollari solo nei cinema, con dvd e diritti televisivi non ne parliamo). Dal punto di vista della critica invece è stato un film molto discusso ma non completamente bocciato (almeno qui in Italia).

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  3. Lenny Nero
    07/01/2009

    @Matthew:

    capisco il tuo punto di vista, provo a spiegarti il mio.
    Non penso che esista cinismo che possa essere tanto disgustoso quanto gli orrori prodotti dalla guerra.
    Non è un discorso pacifista, perchè non sono un pacifista-idealista ad oltranza, ma è un dato oggettivo riferito ai “collateral damages” mostrati nella galleria finale.
    Come ho scritto nel post, il film in alcuni momenti è assurdamente comico e grottesco (l’esplosione mutilazione del comandante, il rapimento dell’aspirante regista), per cui non escludo per nulla una certa cattiveria amorale nel parlare della guerra, un atteggiamento che viene spontaneo quando eventi tanto drammatici generano involontariamente un bailamme di opinioni, informazioni e saturazione, per cui il cinismo è anche una reazione comprensibile (quanto l’annichilimento).
    Pensa che io avrei persino evitato di inserire l’aria di Puccini nel finale, avrei lasciato “parlare” solo i cadaveri e il loro silenzio, per evitare scivoloni retorici.
    L’immagine finale, digitalizzata, dagli occhi non coperti al contrario delle altre può essere interpretata in diversi modi.
    Da una parte l’impossibilità di rendere davvero l’orrore con una semplice fotografia al naturale, dall’altra una sorta di pietismo estetizzante, ed infine, come evidentemente hai percepito tu, lo sfruttamento dell’immagine per un pugno nello stomaco.
    Il fatto è che quella ragazza non è stata stuprata e uccisa dal regista e la sua colpa, se è tale, risiede nel gettarcela in faccia.
    Sicuramente c’è il rischio morboso del voyeurismo, ma questo è un problema di noi spettatori che ormai assumiamo dosi massicce di violenza in ogni modo per cui siamo disabituati a scindere fiction da realtà e ci sembra tutto uguale.
    Più che un film contro la censura (io ho scritto che siamo noi fruitori delle immagini i primi censori in quanto selezionatori, volenti e nolenti) è un film sull’impotenza dell’immagine di essere documentaristica; prova a confrontare con la radicale scelta di rappresentazione opposta a quella adottata per “Vittime di guerra”.

    La sequenza della decapitazione è ispirata a quella di Berg, ma è totalmente falsa.
    Eppure quanto è più realistica di quella che abbiamo visto tutti.

    Forse per apprezzare meglio il film terrei conto che prima di tutto è l’opera di un regista che mette in discussione il proprio lavoro, per cui c’è una componente fredda e metacinematografica che può sfuggire ed infastidire.

    In fondo l’unica domanda che il film davvero si pone sull’invasione dell’Iraq è condensata nelle parole disperate di McCoy che si domanda quale sarà quel “cazzo di ottimo motivo” per tutto quello cui ha assistito.

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  4. Lenny Nero
    07/01/2009

    @Steve:

    forse sono stato troppo perentorio come mio solito.
    Comunque almeno dal mio punto di vista (ma non solo, basta leggere le recensioni riportate da siti come Rotten Tomatoes per avere una panoramica) Black Dhalia è un tonfo artistico clamoroso.
    Che poi De Palma abbia un talento e un’idea del cinema come sperimentazione continua specie da un punto di vista tecnico sono il primo a non metterlo in discussione!

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  5. Matthew Hopkins Jr.
    07/01/2009

    Ok lo rivedrò con più attenzione seguendo alcune delle tue interessanti e profonde considerazioni. Lasciando perdere quanto possa condividere il giudizio sul film (ma appunto lo rivedrò, perché mi sono convinto leggendoti di non aver “visto bene”), devo ammettere con invidia che è una delle migliori che tu abbia mai scritto, una delle più analitiche e riflessive, senza ripetizioni né esagerazioni.

    Complimenti

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  6. Lenny Nero
    08/01/2009

    @Matthew: troppo buono, sei ancora sotto l’effetto Natale. 😉
    Comunque il mio è un punto di vista. Tra cinismi e freddezze da regista secondo me il film colpisce.
    Anche il fatto che si stia qui a discuterne in questi termini è un “collateral damage” positivo.

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Questa voce è stata pubblicata il 06/01/2009 da in Cinema, Flussi di incoscienza, recensione con tag , , .

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