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Peace is for pussies

Thirst

Sang-hyeon, prete cattolico tormentato dalla morte dei pazienti ricoverati nell’ospedale in cui svolge le sue funzioni, partecipa quale volontario alla pericolosa sperimentazione di un vaccino atto a debellare il virus Emanuel, che in Africa miete vittime fra i missionari, forse spinto da una volontà di martirio autopunitivo.

Sang-hyeon soccombe all’infezione, coperto di vescicole e con i polmoni lacerati, ma in seguito all’accidentale trasfusione di sangue di vampiro resuscita, diventando per la gente il “santo bendato”.

Il suo fisico guarirà del tutto, le lesioni scompariranno, potrà togliersi le bende e operare persino miracoli, ma alla ricomparsa dei sintomi della malattia la sete di sangue gli offrirà l’unica soluzione possibile per nascondere la sua nuova natura.

Ogni film di Park Chan-Wook lo si accoglie con curiosità e gioia cinefila.

Nel più deleterio dei casi ci troveremo ad affrontare un pirotecnico esercizio di stile (“Three…extremes”), nel più fortuito un capolavoro (“Old boy”).

Dopo i toni surreali di “I’m a cyborg, but that’s ok”, che non abbandona del tutto, Chan-Wook affronta il genere horror e, come atteso e come sperato, lo stravolge confermandosi definitivamente un autore e rivoltandolo con la sua personale visione morale dei dilemmi umani, e il suo ipnotico stile, tanto controllato, quanto eccessivo, realizza il suo capolavoro direttivo e offre al grande schermo una lezione di regia che unisce una tecnica ormai perfetta alla magia del cinema.

Con un macroscopico e inevitabile difetto ideologico alla base che ne attutisce lievemente l’impatto e rischia di ridurlo ad un prevedibile e imbarazzante apologo morale, fortunatamente sopraffatto dall’estetica.

Assistere a una serie di calcolati, quanto apparentemente leggeri, movimenti di macchina, associati ad una ricerca cromatica e a uno studio della fotografia eccellenti, fa brillare gli occhi dopo aver visto decine di film in cui tutto è creato al computer o l’occhio della telecamera sembra cieco.

“Thirst”, inoltre,  è un film rilevante nel genere horror anche per il tema preso a pretesto per la trama.

In un’epoca in cui vampiri castrati e mormoni riscuotono un successo indecente, la prospettiva di Chan-Wook riconduce il mito vampiresco in territori sanguigni e passionali e il sesso, il fantasma che aleggia morbosamente nelle pagine della Meyer, è il primum movens di molti eventi e viene restituito alla sua dionisiacità (almeno fino a un certo punto).

Se fino a oggi l’unico colossale e dirompente oppositore della saga di “Twilight” era “True Blood” (la cui seconda serie è sintetizzabile con due sole parole: orgia e sangue), con “Thirst” ci troviamo di fronte a una terza ulteriore via.

Il film riesce nell’intento d’intrattenere, appassionare, emozionare mescolando diversi toni in un equilibrio da geniale alchimista, passando senza soluzione di continuità dalla black comedy alla tragedia all’horror spruzzato di gore a toni struggenti e romantici (mai troppo leziosi o melodrammatici), dosando ogni elemento in modo certosino con un effetto di costante sorpresa.

Ed è in questo senso che Chan-Wook si rivela un autore enorme, perché non si fa guidare dagli elementi del film di genere, ma li manipola e piega adattandoli alla sua forma mentis, iniettando nuova linfa alla figura ormai anemizzata del vampiro.

“Thirst” è un esplosione di sensualità, risate amare, comicità, afflizioni interiori, rivestite di colori sgargianti, fino alla stilizzazione, ma sorrette da una sceneggiatura solida, quanto piena di piccole follie, in cui nessuna sequenza (e sono diverse quelle memorabili)  è gratuita, ma necessaria alla costruzione psicologica dei due protagonisti.

Tutto il cast è notevole, e appare molto partecipe e divertito, con una menzione particolare per Ok-bin Kim, una giovane Tae-joo che nella furia bestiale del vampirismo trova un riscatto violento ed esaltante alla sua avvilente condizione personale.

La pellicola è una tale esibizione di talento nella gestione degli elementi visivi, quanto delle sensazioni più viscerali, da non lasciare spazio ad alcuna obiezione meramente cinefila.

Eppure un’ineludibile considerazione a margine è d’obbligo.

I film di Chan-Wook sono caratterizzati da conflitti morali irrisolvibili da cui traspare chiaramente la sua matrice cattolica, la sua monolitica concezione di bene e male, pur risolta nelle sue storie in modo anche provocatorio e non convenzionale (in “Mr. Vendetta” la salvezza di una vita dipende dall’esito di un sequestro disastroso; la dolorosa perpetuazione dell’incesto in “Old Boy”, come unica possibilità d’amare, è comunque seguita dalla sua rimozione; in “Lady Vendetta” permane il bisogno irrisolto di purificazione dopo il tremendo atto collettivo di punizione).

Di fatto, l’assenza di redenzione per l’aver compiuto un atto moralmente condannabile, anche se giustificato (nel caso di “Thirst” dalla propria natura vampiresca) è un leitmotiv talmente radicato nella cinematografia di Chan-Wook che nonostante tutte le possibili e immaginabili deviazioni da una consueta storia d’eros e thanatos, nonostante la visionarietà dei minuti finali o l’ultima e poetica inquadratura, il disappunto di non venire sorpresi, di non trovarsi di fronte a un twist morale, pur in un’ottica ben definita in partenza, questa volta è fortissimo e infastidisce.

Nuovamente assisteremo a una scelta immorale che mira a impedire ulteriori morti, ma in quanto tale richiederà punizione, sacrificio e inferno.

Viene persino oltrepassata la Meyer, i cui vampiri semplicemente rinunciano al sangue umano.

Sostituite il vampirismo con qualsiasi comportamento considerato contro-natura e riceverete un messaggio agghiacciante.

Ideologicamente coerente, anche se ai limiti dell’eresia nella sua esposizione, quanto rivoltante.

Ma anche questo è il cinema. E questo è grande cinema.

8 commenti su “Thirst

  1. elvezio
    14/12/2009

    Ogni tanto pari persino senziente e moderatamente intelligente eh!
    Bravo Guglielmino davvero!
    Questo è grande cinema, speriamo di vederlo prima o poi al cinema…

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  2. Lenny Nero
    14/12/2009

    Anni fa l’avrei bollato come fumante merda in odore di moralismo religioso. Ma oggi sarei miope a liquidarlo così.
    Vederlo al cinema?
    Pensa che “Old boy” lo vidi perchè via import era già disponibile il dvd coreano con i sottotitoli in inglese.
    Poi lo vidi anche al cinema, ma successivamente e in una di quelle sale che se non sai che esistono neanche la trovi.
    In Italia stiamo sfiorando record di ritardi di un anno anche per film di grosso richiamo di pubblico e già disponibili in dvd. E i dvd comprati online costano meno. Qualcuno prima o poi ci dovrebbe riflettere.

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  3. the incredible shrinking man
    15/12/2009

    Concordo pienamente, questo è grande cinema.
    Ho sempre amato Chan-Wook, e nonostante la considerazione a margine che proponi, su cui si può certamente riflettere, trovo sia uno dei registi più genialmente e poeticamente dotati abbia avuto il piacere di ‘incontrare’.

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  4. Lenny Nero
    15/12/2009

    Concordo. Anche se prima riusciva a fare poesia muovendosi nei territori dell’ambiguità o dei dilemmi morali. In questo caso la lezioncina di catechismo è pronta e servita. Il film dura più di due ore e capisci come andrà finire dopo la scena in cui il protagonista confessa la suora. Spero non sia in atto un processo di irrigidimeno moralistico perché finirebbe per rendersi ridicolo. Il messaggio lo rifiuto in quanto si presta a interpretazioni pericolose (parlandoci fuori dai denti, sarà che sono un po’ sensibile al tema, ma da gay il sottotesto non velato su ciò che è contronatura, mi ha fatto salire il sangue al cervello. Prova a immaginare la stessa trama applicata a una presa di coscienza omosessuale. O di qualsiasi cosa sia ritenuta condannabile dalla morale cattolica). Lo si perdona solo perchè il tutto è confezionato con un piglio visivo tale che mi è stato pure bene sentire risuonare nelle mie orecchie l’invito a suicidarsi. Con inferno connesso, perché anche per quello si paga! Quando è finito il film ho pensato un liricissimo “ma vaffanculo…”. Il fatto che è circolano così tanti film di merda che vedere un tripudio tale di capacità registica mette in luce ben altre evidenti qualità.

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  5. the incredible shrinking man
    15/12/2009

    sì, capisco il punto di vista, ma … è una domanda che non ha alcuna relazione con il film in sé, o meglio prende spunto da esso, diciamo più una curiosità, e la chiedo da ateo, uno di quegli atei strani che dopotutto la fede ai credenti un po’ la invidia, e ribadisco, la fede, non altro.

    Credi che tutti i cattolici abbiano la stessa morale, e cioè quella prettamente cattolica di negazione, condanna del peccato, abolizione di ciò che è contrario alla norma, e quale sarà poi ‘sta norma …, fustigazione del piacere etc etc ? Ovvero, che esista una sola rigida etichetta a cui tutti loro si uniformano ?

    Lo chiedo perché eticamente parlando lo stacco da un film come Old Boy è notevole, e parlo proprio solo di dilemmi morali, appunto, niente tecniche registiche, fotografia, nulla di nuovo per quello, tutto sempre splendido.
    Vorrei solo essere sicuro che poi quello che si evince in Thirst, il punto di vista etico del regista sia esattamente quello, o non un’altra delle sue ‘ambiguità’.
    Magari sentire un altro parere potrebbe essere utile.

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  6. redman
    16/12/2009

    Aspettavo da molto di sentire qualche parere riguardo questo film.
    Recensione stimolante la visione!
    Grazie.

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  7. eloisa
    17/12/2009

    In altre parole, shrinking man, stai dicendo che la lettura in senso morale del film di Lenny è una sua “proiezione”?

    Tu che idea ti sei fatto sul punto di vista etico del regista?

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  8. the incredible shrinking man
    17/12/2009

    No, Eloisa, non credo sia una proiezione, anche se poi tutti i nostri pareri potrebbero esserlo, semplici proiezioni della nostra, di etica. Ammesso di averne una.

    Sto riflettendo, memore dei trascorsi del regista – e con trascorsi intendo i suoi precedenti film e quello che vi è contenuto, il messaggio, o chiamalo come vuoi – se fosse davvero questo che in Thirst vuole farci arrivare oppure se non sia invece un po’ più ambiguo. Come avevo scritto sopra.

    Io sul punto di vista etico del regista non mi sono fatto alcuna idea, per questo film, almeno finché non capirò se è esattamente quello il messaggio che voleva far passare, quello che si evince più chiaramente, più immediatamente – ed allora posso rispettarlo senza condividerlo – oppure se invece sotto non ci sia altro.

    A me piace scandagliare sempre “l’altro”.

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Questa voce è stata pubblicata il 14/12/2009 da in Cinema, Flussi di incoscienza, recensione con tag , , .

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