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Peace is for pussies

Enemy

enemyParte 1: tesi (no spoiler)

Denis Villeneuve ha acquisito notorietà grazie a Prisoners, mentre in pochi conosco i suoi antecedenti lavori sperimentali.

Mi colloco tra i detrattori di Prisoners (irritante, derivativo, involontariamente fascistoide), ma non si può certo negare che Villeneuve non sappia creare un’atmosfera intimidatoria e che i problemi di quel film nascessero prima di tutto da uno script cerebralmente piatto.

Mentre terminava le riprese di Prisoners, Villeneuve gestiva anche la post-produzione di Enemy, film che rafforza l’idea che il precedente sia il risultato di una sensibilità e di uno stile personale applicati a una storia non adatta e che non interessava davvero al regista (almeno nei suoi aspetti thriller), mentre l’impressione che si ricava da Enemy è che sia un film che ha amato dirigere e pienamente suo.

Basata nei suoi passaggi nodali su L’uomo duplicato di Saramago (libro non meno enigmatico e con un finale altrettanto criptico e aperto a diverse interpretazioni), la sceneggiatura di Javier Gullon (Hierro, stilizzato film di Gabe Ibanez interessante solo per ambientazione ed eleganza visiva, ed El rey de la montana) ne è una rilettura che offrirebbe materiale di discussione onanistica per molti psicologi e in cui vengono accentuate le sfumature più oscure legate al desiderio sessuale, asciugandone la trama e concedendo margine di azione sia al regista sia agli attori, che spesso hanno improvvisato le interazioni, soprattutto quelle fisiche, in un’interessante ricerca di realismo anche nei momenti di maggiore intimità.

Adam, professore di storia con una vita scandita da lezioni, studio e sesso frustrato con la propria compagna (Melanie Laurent) scopre che esiste un suo sosia, Anthony, estroverso attore con una irrilevante carriera cinematografica, in attesa di un figlio dalla moglie (Sarah Gadon, ormai considerabile la talentuosa figlia adottiva dei Cronenberg) e con inquietanti passatempi privati.

Enemy è un film che di proposito si presenta come un enigma, come tale Villeneuve lo ha venduto nelle interviste, descrivendolo come una sfida intellettuale lanciata allo spettatore a cui non vengono fornite in modo esplicito chiavi di lettura.

L’intenzione era quella di catapultare lo spettatore in un’esperienza onirica la cui interpretazione maturasse dentro lo spettatore, attraverso sensazioni e simboli, invece che tramite una chiara verbalizzazione maieutica.

Il dato è da sottolineare perché il pregio (o, per alcuni, la fonte di massima irritazione) del film è quello di usare un linguaggio che non narra un’esperienza attraverso gli occhi del protagonista, ma la fa vivere narrandola come se fosse rielaborata dall’inconscio del protagonista.

Per cui è del tutto plausibile l’implausibile e reale e simbolico si fondono progressivamente fino ad arrivare all’apice immaginifico di un enorme ragno che si muove minaccioso tra i palazzi di Toronto.

Il caos è un ordine da decifrare è l’incipit tratto dal libro di Saramago nonché il manifesto del film.

L’ordine è una Toronto ripresa con un occhio attento alle geometrie più futuristiche, asettiche e alienanti, con movimenti di camera che creano distorsioni ottiche ben più efficaci di quelle milionarie di Inception.

Il caos è quel nero abominio che incede senza esitare tra grattacieli che sembrano prigioni di cemento.

Ordine e caos coesistono, in un equilibrio che sembra dover esplodere da un momento all’altro.

Quel ragno arriva a far visita a tutti prima o poi.

Parte 2: antitesi (no spoiler)

Enemy non è esente da due difetti, entrambi ponderabili secondo i propri gusti e percezioni.

Il primo è il concept artistico: il sogno è inteso non come fantasia, ma come modalità di rappresentazione di cui il cinema non può che essere il migliore e più potente surrogato.

Cinema inteso non solo come immagine (e Nicolas Bolduc gestisce luci fuligginose e penombre con un calcolato intento innaturalistico), ma come sensorialità a tutto tondo (il tappeto sonoro lisergico creato da Danny Bensi e Sander Jurriaans che crea una sensazione di vuoto ostile).

Il secondo è una predilezione del regista per tempi allungati che spesso smorzano una tensione ipnotica altrimenti notevole grazie anche al montaggio di Matthew Hannam (Antiviral) che però non aveva sicuramente voce in capitolo sulla direzione di alcune scene.

Si tratta di due elementi che se copresenti (non amo una cinematografia da interpretare, non amo la lentezza) possono rendere Enemy una visione faticosa quando invece va affrontato con un minimo di lubrificazione mentale.

Se perdonate qualche mancata sfrondatura, la pellicola diventa un piccolo viaggio intrigante e che turba, che con una mano ti stropiccia il cervello mentre con l’altra ti afferra lo stomaco.

Merito anche di un cast che convince, anche se è la prima volta che Jake Gyllenhaal fa dimenticare di essere stato Donnie Darko e riesce a giostrarsi con sufficiente talento fra due personalità opposte (e però, saranno quegli occhioni cerbiatteschi, sebbene oggi ormai compensati da pettorali da vichingo, ma non mi convince mai del tutto), e anche se ingabbiate nel loro ruolo e in una prospettiva maschile e misogina Melanie Laurent e, soprattutto, Sarah Gadon riescono con i loro volti a restare impresse nella memoria e forse i loro personaggi avrebbero meritato più spazio perché è più quello che si inferisce della loro intimità che quello che davvero viene raccontato (ma d’altra parte sono come sostituibili ancelle).

Poste queste premesse è inevitabile che chi ha visto il film discuterà non tanto degli elementi estetico-sensoriali (e si dovrebbe, ci si dovrebbe tornare), ma del più carismatico tra i protagonisti: un ragno.

Parte 3: sintesi (spoiler)

Il ragno è il simbolo ricorrente.

Anthony è a un raduno di soli uomini, che scopriremo essere selezionati, di fronte ai quali una donna si masturba.

Poco dopo un’altra donna porta un ripiano ricoperto che nasconde un ragno.

La donna che si masturbava, indossante solo sandali coi tacchi, schiaccerà il ragno davanti a un Anthony che non osa quasi assistere alla scena.

Gli uomini sembrano soggiogati dalla donna, come ipnotizzati, è lei che domina la scena e che conduce lo spettacolo e con il suo gesto finale afferma una posizione dominante.

I rapporti di coppia travagliati di Adam e Anthony possono essere spunto per un’interpretazione che la stessa Sarah Gadon ha sostenuto essere l’esplorazione del concetto di intimità femminile e di intimità tra due persone.

E’ un’affermazione che dipinge in positivo dinamiche che invece procedono verso l’autodistruzione.

Fin dall’inizio il film diffonde concetti inerenti i sistemi di controllo da parte di uno Stato, subdoli mezzi (dal classico panem et circenses all’abbassamento del livello culturale) che mascherano una dittatura morbida.

E non uso a caso il termine dittatura perché lo stesso Villeneuve, pur avendo dichiarato di non voler fornire il suo significato per i simboli di Enemy (you have to deal with it yourself, come in un’esame di coscienza) si è lasciato sfuggire sometimes you have compulsion that you can’t control coming from the subsconscious. They are dictator inside ourselves.

Adam e Anthony non vivono in modo sereno le loro relazioni, sono annoiati, si sentono in trappola (Anthony ha abbandonato la carriera cinematografica quando la moglie è rimasta incinta, Adam non ha altro che i suoi studi).

Sotto i loro sorrisi o i loro silenzi nascondono una voglia di cambiamento e il vero nemico del titolo, che sottolinea la presenza di un contrasto, non sembra solo essere il proprio doppelganger o addirittura se stessi, ma la controparte femminile (come dimostra anche il finale), delizia, ma soprattutto croce.

La donna più che oggetto del desiderio sembra un trascurabile soprammobile privo di personalità e mai destinatario di affettività e attenzioni.

Solo la madre di Adam (un cameo di Isabella Rossellini) rappresenta, in quanto madre, l’elemento femminile saggio e pensante, ma comunque castrante, che vuole ricondurre il figlio sui binari della sua realtà intuendo che sta deragliando in quelli della vita di Anthony.

Il ragno è simbolo di una repressione crescente, del senso di minacciosa instabilità e di colpa che derivano dal desiderare e non poter avere.

Il grande dittatore che allunga la sua marcia sul mondo umano, come se fosse un terreno di battaglia (Es/Super-io, maschi/femmine, pulsioni/morale di una società), è la proiezione dei sentimenti contrastanti che spingono le persone tra i due estremi dell’ordine e del caos (come descritto negli schemi sulla lavagna).

Nelle sue lezioni Adam afferma che il controllo ha come obiettivo censurare l’espressione individuale.

E’ un concetto che appartiene più al libro di Saramago (il senso di originalità/individualità perduta) perché in Enemy sia Adam sia Anthony intravedono nella loro conoscenza la possibilità di uno scambio, di assumere un’altra identità.

A loro non importa essere delle copie viventi di se stessi, persino nelle cicatrici, come se le loro linee temporali si fossero sovrapposte in alcuni punti per poi allontanarsi e intrecciarsi di nuovo.

A loro interessa inserirsi nella linea temporale dell’altro, come saltare da un treno ormai in corsa.

Sulla lavagna di Adam compare anche la triade hegeliana tesi-antitesi-sintesi.

Il punto di partenza, la tesi, è la nascita casuale (un evento randomico, caotico) di due individui identici (abbandonerei per eccesso di banalità e sfruttamento dell’idea la teoria che Anthony sia una proiezione mentale di Adam: entrambi esistono e nulla supporta l’idea contraria), la loro vita procede in direzioni opposte (l’antitesi).

L’ordine sostenuto da questa separazione precipita nel caos con il loro incontro e quel momento è il crocevia di una possibile rinascita.

Sempre sulla lavagna di Adam tra antitesi e sintesi una freccia indica il site of control.

Il superamento dell’antitesi è la fase in cui un ordine deve essere ristabilito, quella in cui Adam e Anthony potrebbero decidere se continuare sulla propria linea temporale o sconvolgerla.

Soprattutto per Adam il cambiamento sarebbe rivoluzionario (e lo vivrà commosso come l’inizio di un nuovo amore), per Anthony costituirebbe una via di fuga e l’occasione di possedere un’altra donna sotto la formalità di esserne il partner.

Quella che vediamo sullo schermo sembra la messa in scena di un disturbo narcistico della personalità da manuale, doppelganger, riconfigurazione dell’identità e reinvenzione di sé compresi.

Adam e Anthony cedono a pulsioni ormai cieche e solo attraverso un evento tragico potrà essere ristabilito un ordine.

Adam a lezione cita Marx (La storia si ripete due volte, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa) e l’inquietante ironia del film risiede proprio in quella frase: saltati dalla loro ragnatela, Adam e Anthony non hanno fatto altro che ritrovarsi intrappolati in quella dell’altro.

E quell’oscuro ragno psichico comparirà di nuovo in un finale surreale e spiazzante.

3 commenti su “Enemy

  1. Caino
    28/07/2014

    ti consiglio questo: https://www.youtube.com/watch?v=v9AWkqRwd1I

    è un analisi molto attenta e sostanzialmente inconfutabile…
    una volta eliminati i punti di domanda è un film che degrada velocissimamante.
    bella la regia, gli attori, lo script ….però il tutto è po’ uno scrigno vuoto. lo apri, dici “ah” e poi lo rimetti in soffitta fino al prossimo secolo.

    cioè che rimane è un bel tentativo, sensuale e affascinante, dove il messaggio è un analisi brutalmente vera del uomo, inteso come maschio, di inizio millennio.

    da rivedere ricordando la versione “a-la lynch”, ovvero mullholland drive….

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  2. Giuseppe Marino
    12/08/2014

    bello il pezzo. ho apprezzato tutto quanto ricordi nella tesi, e sostanzialmente anche quello che citi nell’antitesi. un film che racconta per immagini e spazi, un’opera visivamente e registicamente molto interessante. non ho ancora chiaro, però, se sia un film con una coerenza interna completamente ricostruibile (alla mulholland o spider, per intenderci), mentre tu propendi assolutamente per l’esistenza di entrambe le figure. le interviste al regista e il video linkato su (l’ho trovato citato un paio di volte, ma sinceramente non mi sembra risponda a domande interessanti (il segno dell’anello, le reazioni della gadon, per dirne un paio, ma ce ne sono varie), dà solo delle interpretazioni di qualche simbolo cardine) sembrano invece andare in direzione opposta. al momento mi sembra un incontro fra due film differenti, portando diversi indizi fra loro inconciliabili sia a sostegno di una tesi che dell’altra. questo ne farebbe non un film aperto alle interpretazioni, ma un film incoerente, con due diverse tesi che si intrecciano. potrebbe essere considerato un grave errore (una volta uccidevano per molto meno), ma sono più propenso a credere che possa essere un estremo sintomo di originalità. lo rivedrò, che anche le condizioni non erano ottimali.

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  3. Lenny Nero
    13/08/2014

    Il regista ha volutamente fatto di tutto per non rilasciare troppi indizi o la sua interpretazione dei simboli. Tanto meno ha chiarito le ipotesi da te riportate. Se ben ricordo, però, Gyllenhaal ha dichiarato che Villeneuve voleva che recitasse come se fossero davvero due persone differenti, mentre lui vedeva nei due protagonisti due aspetti della stessa persona. Nel libro sono chiaramente due persone diverse, tanto che poi la scena dell’anello, etc. etc. Se fossero la stessa persona già solo quella scena non avrebbe senso e mi rifiuto di pensare a banalita come “se l’è immaginato” che davvero si è già vista troppe volte. Preferisco pensare che il film sia forse migliore di quello che è. 🙂 E poi in fondo è il suo bello, no?

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Questa voce è stata pubblicata il 25/07/2014 da in Cinema con tag , , , .

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